Wikipedia

Risultati di ricerca

sabato 23 gennaio 2016

"Federazioni e Gilde dei Mercanti" (Ovvero: Sport, sogni e il godimento di correre col proprio cane in assoluta libertà)


"Federazioni e Gilde dei Mercanti"
(Ovvero: Sport, sogni e il godimento di correre col proprio cane in assoluta libertà).

 
Prima cosa:
Chiudete gli occhi ed immaginate un paesaggio fantastico. Cercate di fissarlo nella mente e leggete quello che segue vivendolo con un misto di stupore e curiosità; proprio come se foste stati catapultati in un mondo di fantasia ...
Càpitano avvenimenti che fanno riflettere. Questo è un bene. Mi piace pensare, quasi quanto scrivere e, da buon pensatore e modesto (inteso come scarso) scrittore, amo la "fantasia"; in senso lato, tutto ciò che permette di sognare, di evadere dall'ordinario. Ma ... Quando la realtà supera abbondantemente la fantasia? In questo caso la riflessione, inevitabilmente, deve farsi profonda e, i sogni e le meraviglie del fantastico, lasciano spazio ad uno sbigottito qui e ora, che un po' inquieta.
Andiamo per ordine.
Il miraggio del successo nello sport è una sirena che, da generazioni, attrae l'uomo. Anelare alla
gloria sportiva in molte coscienze diventa viatico per un'Achillea immortalità, tanto più in quest'epoca di abnorme condivisione, anche del nulla purtroppo, dove già acquista determinante importanza avere un pubblico, "followers" (figo dirlo all'inglese, mi dona quel tocco di internazionalità, fa sempre comodo) di pochi individui, figuriamoci diventare star acclamata e riconosciuta e, non in ultimo, superpagata. Forse per alcune persone è ancora sinonimo di riscatto sociale (Lettura consigliata: Loic Wacquant – Anima e Corpo – DeriveApprodi Editore 2002; bellissimo, crudo, vero, vissuto), un modo brillante per prendere (o riprendere) un qualcosa o, per evitare un qualcos'altro. Non sono in grado e non voglio nemmeno impegnarmi (ed impegnare il lettore; anche se a questo punto credo di aver già perso un buon 50% di pubblico) in un'indagine sociologica, serviva una piccola introduzione per porre il problema sul piedistallo.
In effetti, da ragazzo, l'illusione della carriera da atleta ha rapito anche me. Amara, ma realistica confessione; non per giustificarmi, ma in un ambiente di crescita caratterizzato dal "rampantismo" degli anni '80 dove gli sportivi iniziavano ad avere una cassa di risonanza planetaria e i guadagni, foraggiati dalle innumerevoli sponsorizzazioni (più o meno lecite) iniziavano ad essere di una certa importanza, gli echi di un facile e redditizio futuro di gloria erano richiami difficilmente inascoltabili.
Il mio problema, oltre a possedere un talento ridotto ai minimi termini, era (ed è tuttora) la molteplicità di interessi (non a caso, in seguito, ho fatto un certo percorso formativo).
Giocavo a calcio; mi piaceva.
Arti marziali; mi piacevano.
Nuoto; mi piaceva.
Atletica; mi piaceva.
Ero bravino in tutto, non eccellevo in nulla. Forse anche per questa multilateralità di passioni che, se da un lato ha fornito parecchi stimoli formativi, dall'altro non permetteva un'immersione totale e conseguente specializzazione in una singola disciplina.
Il risultato? Nessun successo sportivo ... Addio vita da professionista! Poco male, tutto sommato ero un adolescente da 50 kg bagnato, di cui metà erano capelli ed apparecchio ortodontico; pur sognando l'oro Olimpico, ero consapevole che, se avessi voluto fare dello sport la mia professione, dovevo in primis mettere in moto il cervello.
A questo punto si potrebbe aprire veramente un mondo … cervelli più o meno sedentari li vediamo tutti i giorni, placidamente appoggiati su comodi divani cranici, girano su sé stessi arrovellandosi in mediocri pensieri che, invece di colpire altri, come d’intento, mortificano esclusivamente la loro penuria corticale, già abbondantemente priva di connessioni.
Ma questi sono particolari ... Come accennavo sopra questo mio difetto (pregio?), la multifocalità di interessi permane tuttora. E ne vado orgogliosamente fiero.
Corro; mi piace.
Nuoto; mi piace.
Sollevo pesi; mi piace.
Eccetera, eccetera, eccetera ...
Dopo tutte queste parole urge un bel respiro. Ahhh, molto meglio adesso. Richiudete gli occhi, ritrovate il vostro mondo di fantasia e, se avete voglia, continuate la lettura.
Il sogno del campione, dicevamo.
In un mondo "decisamente" di fantasia, proviamo ad immaginare individui che, nonostante caratteristiche non propriamente vincenti, nonostante un'età non più verdissima (in senso sportivo, almeno), continuino ad anelare a quest'olimpo di notorietà e fama sportiva. L'esempio di Marco Olmo in fondo gasa un po' tutti; campione a quasi sessant'anni partendo praticamente dal nulla, c'è sempre tempo. Ecco, se da un lato tutto questo è veramente bellissimo, inseguire un sogno, perseveranza, impegno, costanza e determinazione, dall'altro il rischio che diventi patologico ed ossessivo, e' piuttosto alto; e particolarmente imbarazzante.
Ma c'è un rischio ancora maggiore ... Chi, avendole provate tutte per diventare sportivo famoso nonostante i mezzi (evidenti !) non idonei, vuole comunque farne parte da protagonista; non c’è niente da fare, non riesci a farlo ragionare; è il genitore che accompagna il figlio al campo e lo indottrina pedissequamente ogni giorno su cosa deve o non deve fare, è il dirigente che si mena prima della partita (durante e dopo), è l’internauta che dispensa consigli a destra e manca è... Beh, presentiamolo come si deve.
Signore e signori ecco a voi:
“Il Soggetto Che Vorrebbe Lavorare Nello Sport”. Standing Ovation!!!!
Come lo identifichiamo? (Adesso mi esibisco nella stesura di un profilo, alla Aaron Hotchner!!!):
 
1) Passato da sportivo/atleta. In alcuni casi anche di buon livello, ma che non gli ha permesso di sfondare.
2) Un probabile lavoro frustrante. Insoddisfacente a suo dire perché non mette in luce le sue qualità o, più spesso, anonimo anche se, magari, importante.
3) Quasi sempre esistono soggetti simili a lui per caratteristiche, distinguibili dallo stesso nome di battesimo (Nomen Omen) o da nomi di lunghezza uguale. (Statisticamente 4 – 6 lettere).
4) Campione di uno sport spesso sconosciuto, a volte da lui inventato o, in qualche caso, membro dello staff di qualche società: “che però è meglio che tu non sappia, sai teniamo in profilo basso perché lavoriamo ad alti livelli”.
5) Fa parte o ha agganci in qualche “Federazione”. Qui i casi sono: Federazione ignota ai più o mai sentita (spesso il soggetto è campione dello sport promosso da tale misteriosa federazione) o Federazioni conosciute, ma “non posso dirti di più, sai non devo espormi troppo”.
6) In un modo o nell'altro ti propone un guadagno. Lui non ci guadagna mai nulla, ma fa tutto il lavoro. Poverino. Tu non fai una mazza e ci guadagni. Un Samaritano.
7) Alla fine ti fa un giro di parole gigante dove non capisci niente, l'unica certezza è: “No, ma si, tu non ti preoccupare, uno sponsor lì, tu metti qualcosa qui, se mi dai qualcosa qua, poi collaboriamo, l’importante è allinearsi ...”. Ti chiede dei soldi, insomma.
8) Sa tutto. Di tutto. Non c'è contradditorio. Si tu sei bravo, preparato. Ma loro la sanno sempre più lunga.
9) Tessono tele. Da bravi Mercanti creano vere e proprie Corporazioni di scambi, dove danno ciò che è tuo e ricevono solo per loro.
10) Ha, presunte o reali, origini nobiliari.
11) Se gareggia si interessa in modo maniacale della classifica di categoria: “Non sono molto allenato, ma … quarantaseiesimo di categoria”.
12) Ha un “guru” di riferimento e si beve tutto senza alcuno spirito critico, o egli stesso si crede “guru”; come potete immaginare questa seconda situazione è ben peggiore.
13) Organizza. Qualunque cosa. Spesso male, ma non è detto. Probabilmente da giovane era quello che già a settembre spaccava le palle per Capodanno.
Guardatevi intorno … se conoscete qualcuno che abbina almeno 3 o 4 dei precedenti segni/sintomi, beh, attenzione … potrebbe essere un: SCVLNS!!! “Soggetto Che Vorrebbe Lavorare Nello Sport”.
State in guardia!

Dimenticavo.
Tra le cose che amo particolarmente fare, uscire con il cane ha sempre un posto di rilevo. Una meraviglia! Nei boschi, da solo, simbiosi perfetta con la natura e con l’animale. Un po' di camminata e un po' di corsa. Sono sicuro che posso sentirmi veramente libero, è una visione del mondo forse parziale, ma estremamente appagante: tu ed il tuo cane, nessuna parola, basta uno sguardo, sudore, fatica di quella giusta, niente gente intorno, qualche rapido saluto a chi si incontra … Non c’è sport, non ci sono Federazioni e tutti i Mercanti che vi gravitano intorno ... O forse no? Un momento! Sento dei rumori.
... Sono nel bosco, sento latrati provenire da ogni dove, quando all’improvviso: gruppi di scalmanati sudatissimi e in evidente sovrappeso spuntano come funghi, compressi in tutine Kalenji dagli improbabili colori e scarpine rigorosamente Salomon, incespicano affannati dietro mute di cani che neanche per una caccia alla volpe! Fotografie, filmati, outdoor, federazioni, mercanti, sport, gruppo, social ... Parole senza senso si affollano nella mia testa! Apro gli occhi.
Per fortuna era solo un sogno. Ero perso nel mondo della fantasia ...

SL.A.

sabato 9 gennaio 2016

Eredità



EREDITA’

Cosa lasciamo a nostri figli? Quanto di noi, inteso come esseri umani, doniamo alle future generazioni?

Uno studio pubblicato su “Cell Metabolism” http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26669700 ha destato la mia curiosità. In breve, questo lavoro, dimostra che l’obesità altera l’espressione genica degli spermatozoi predisponendo i figli al sovrappeso.
Quindi, praticamente, i figli di padri sovrappeso, avranno molta probabilità di essere sovrappeso a loro volta. Il titolo dell’articolo [1] dal quale ho preso spunto, infatti, recita: “Obesità, tale il padre … “ lasciando presupporre le nefaste conseguenze di chi, non in perfetta forma, volesse procreare. Gli autori spiegano i risultati come un possibile adattamento evolutivo, la capacità di lasciare in "Eredità", la possibilità di "ingrassare" più o meno facilmente per sopravvivere più a lungo in periodi di ipoalimentazione o carestia.
Un po' tutto diverso quando era la "vita" ad essere messa in gioco e non un ideale estetico, vero? 
Non entro nel merito dello studio in sé, mi soffermo però sulle conclusioni e, pur non condividendo il tono di apocalittica predestinazione, tutta la questione mi offre parecchi spunti su cui riflettere.
Facciamo un passo indietro.
La teoria endosimbiotica [2] descrive la situazione in cui due organismi cellulari, con dimensioni e metabolismi differenti, avrebbero trovato una convivenza vantaggiosa a fronte dello scenario primordiale di alcuni miliardi di anni fa. Anche i precursori dei mitocondri (organelli considerati le centrali energetiche delle nostre cellule) hanno probabilmente avuto un’origine endosimbiotica: primordiali organismi unicellulari per sopravvivere all’incalzante incremento “ossidante” dell’ossigeno atmosferico, avrebbero fagocitato organismi di dimensioni più modeste, dotati di proprietà fotosintetiche e quindi capaci di neutralizzare questi effetti negativi. Tali piccoli procarioti, intrappolati e non digeriti, si sarebbero rivelati utilissimi per l’evoluzione della moderna cellula eucariotica.
Quello che siamo oggi è, dunque, il risultato di miliardi di anni di evoluzione.
Un processo lento e graduale ci ha resi quello che siamo e, con buona probabilità, stiamo ancora cambiando. L’analisi del genoma umano dimostra come i geni del nostro patrimonio siano sostanzialmente uguali a quelli dei nostri predecessori di 1 milione di anni fa, tanto da far ipotizzare un arresto o, comunque, un rallentamento della selezione naturale dalla fine del paleolitico (2,5 milioni fino a circa 10 mila anni fa) ad oggi. La selezione naturale non ha mai smesso di agire, ma ha avuto sulla biologia umana solo effetti locali e limitati (basti pensare quante persone oggi in vita grazie alla penicillina avrebbero potuto morire per la polmonite se avessero avuto geni che aumentano la probabilità di contrarla). Se oggi prendessimo una ragazza Cro-Magnon del paleolitico superiore e la trasportassimo in una nostra famiglia moderna, sarebbe simile ad una sua coetanea contemporanea, eccetto per alcune piccole probabili differenze nel suo sistema immunitario e nel suo metabolismo. Tutti noi, compreso chi si trova in un qualunque remoto angolo del pianeta, condividiamo un ultimo antenato comune che risale a meno di 200 mila anni fa, quindi le diverse popolazioni sono pressoché identiche dal punto di vista genetico, anatomico e fisiologico. Indipendentemente da quanto la selezione abbia agito a partire dal paleolitico, nelle ultime migliaia e centinaia di anni, l’uomo, però, si è evoluto in altri modi significativi. Una forza potentissima è oggi “l’evoluzione culturale”, che ha modificato le interazioni tra i geni e l’ambiente, alterando il secondo, anziché i primi [3].
Per quanto, dunque, nelle ultime migliaia di anni i geni umani non siano cambiati molto, le variazioni culturali hanno cambiato l’ambiente in modo estremo; alla base delle malattie di oggi c’è un profondo conflitto tra il nostro genoma e il mondo in cui ci troviamo a vivere. Questo è dovuto ad un fenomeno definito “discordanza evolutiva”. In breve, quando l’ambiente in cui un essere vivente si trova cambia a velocità superiore rispetto alle capacità del DNA di adeguarsi ai mutamenti, l’organismo inizia a sviluppare un disadattamento che si manifesta in una crescita dell’incidenza di malattie [4].
Quindi, noi uomini moderni, siamo uomini primitivi catapultati in un mondo decisamente diverso da quell’ecosistema che ci vedeva protagonisti 1 milione di anni fa, con tutte le conseguenze che da ciò ne deriva. Noi cacciatori che partivamo all’alba e ci muovevamo correndo o camminando per la maggior parte della giornata ci troviamo ad affrontare una vita probabilmente piuttosto stimolante da altri punti di vista, ma che ci priva di un selvaggio richiamo nostro per definizione.
Una malattia determinata dalla “discordanza evolutiva” è senza dubbio il diabete di tipo 2. Secondo questo “mismatch evolutivo”, mangiamo troppo zucchero (ma probabilmente mangiamo troppo in generale) rispetto a come il nostro antenato Homo era abituato (spesso ci cibiamo molto, ma ci nutriamo poco ... tanta energia, poco nutrimento), in più ci muoviamo molto meno (e quando ci muoviamo lo facciamo in maniera compulsiva, esagerata); ecco come una genetica uguale, si trova ad affrontare un ambiente diverso. Questo è stato brillantemente spiegato nel 1962 dal genetista Neel, con l’ipotesi del genotipo di risparmio (thrifty gene hypothesis). Secondo la sua idea i geni che predispongono al diabete (geni di risparmio) sicuramente vantaggiosi nell’evoluzione umana, sarebbero diventati deleteri nello scontro con il progresso delle società moderne. I geni di risparmio consentono all’individuo di stoccare e processare efficacemente gli alimenti, sottoforma di grasso, durante i periodi di abbondanza, per proteggersi da quelli di carestia o di digiuno prolungato [2]. Ecco quindi che il moderno “cacciatore – raccoglitore”, nella sua battaglia quotidiana contro le corsie del supermercato o contro gli scomparti del frigorifero, prepara le sue scorte energetiche per una carestia che mai arriverà. La conseguenza è logicamente la diffusione di quelle patologie cronico-degenerative da iper-alimentazione, quali l’obesità o il diabete di tipo 2 (alcuni studiosi hanno coniato il termine “Diabesità” per evidenziare il legame tra queste due problematiche).
Torniamo all’eredità del titolo.
Sentite quel richiamo ancestrale?
Non avete voglia ogni tanto di correre festosi sotto un acquazzone?
Vi emozionate guardando un panorama o appoggiando le vostre mani su un tronco di un albero enorme?
Certo che vi succede.
E’ la vostra eredità, è dentro di voi, di noi.
Come abbiamo visto non è solo il nostro modo di essere, ma anche come ci comportiamo che può fare la differenza. Non è solo questione di buoni esempi, ma anche di espressione genica, di vero e proprio lascito. Doniamo una parte di noi nel vero e proprio senso della parola; la partita, ovviamente, rimane sempre aperta, ma la base di partenza cambia, e non è poco. Il celebre fisiologo Astrand disse: “chiunque voglia vincere una medaglia olimpica deve sapersi scegliere bene i genitori”; il ragionamento che voleva evidenziare l’importanza di una buona predisposizione genetica, può essere ruotato e diventare “se volete fare in modo che i vostri figli possano sfruttare al meglio le loro potenzialità, comportatevi bene da genitori”.
Se non volete farlo per voi, fatelo almeno per loro.

Il principio fondamentale della saggezza è mantenere l’ordine invece di correggere il disordine. Curare una malattia dopo la sua manifestazione è come scavare un pozzo quando si ha sete, o forgiare armi a guerra già iniziata.
NEI JING, II secolo a.C.
SL.A

Bibliografia e letture consigliate:

[1] Rivista Le Scienze – Gennaio 2016

[2]: Biologia cellulare nell’esercizio fisico – Luzi L. – Springer ed. – 2010

[3]: La storia del corpo umano – Lieberman D.E. – Codice ed. – 2013

[4]: Mangia che ti passa – Ongaro F. – Piemme ed. – 2011



Le immagini sono tratte da: